La SEO vista da Meta Line: il nostro metodo

Il miglior posto per nascondere un cadavere? La seconda pagina di Google, naturalmente! Quella che è nata come battuta tra gli addetti ai lavori nel ramo marketing, in realtà, rappresenta una triste verità: gli utenti sono pigri e non vanno oltre la prima pagina di risultati. 

O meglio, alcuni ci vanno, ma sono sempre di meno: secondo le statistiche rilasciate da SEOHacker, la prima pagina attira il 88,42% di click; il restante 11,58% si suddivide il modo decrescente dalla seconda all’ultima pagina della SERP (search engine results page).

Questo significa solo una cosa: approdare in prima pagina è essenziale per attirare traffico sul proprio sito. Come farlo? Applicando strategie di SEO (search engine optimization).

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Nel campo dell’ottimizzazione per i motori di ricerca operano due grandi filosofie: white hat, che utilizza strategie pulite, trasparenti e soprattutto permesse dai motori di ricerca; black hat, che, al contrario, investe su trucchi e pratiche poco corrette per far schizzare il ranking di un sito.

Come non fare SEO: le strategie di black hat

Il World Wide Web è un luogo meraviglioso che ha aperto – soprattutto negli ultimi 10 anni – nuove opportunità di business. Ma, quando entrano in gioco i soldi, cominciano ad emergere anche delle figure che cercano di trarre il massimo profitto con il minimo sforzo: sulla rete è nata, così, la black hat.

Questa consiste in una serie di tecniche che vanno a forzare o ingannare i meccanismi di assegnazione del ranking di Google in modo da migliorare il proprio posizionamento in tempi ridotti (cosa molto gradita ai marketer sempre più frettolosi).

Tra i metodi più diffusi c’è sicuramente l’utilizzo di PBN (private blog network): in sostanza, si va a creare una rete di blog spesso su piattaforme gratuite come WordPress o Blogger ma anche su domini acquistati ad hoc (spesso si tratta di domini scaduti). L’obiettivo è quello di inserire all’interno di queste pagine dei backlink al sito del cliente in modo da spingerlo sui motori di ricerca più rapidamente e migliorarne il posizionamento.

Tuttavia, dallo stesso supporto di Google si apprende che: “Tutti i link creati per manipolare il PageRank o il ranking di un sito nei risultati di ricerca di Google potrebbero essere considerati parte di uno schema di link e quindi una violazione delle Istruzioni per i webmaster di Google. Ciò include qualsiasi comportamento che manipoli i link al tuo sito o i link in uscita dal tuo sito“.

Infatti, un altro metodo molto gradito da coloro che fanno black hat è l’utilizzo di schemi link: la creazione in massa di backlink che puntano alle pagine di un sito può essere automatizzata con appositi softwareQuindi si può dire addio al tedioso lavoro di promuovere i propri contenuti per ottenere link di valore? Assolutamente no: questa tipologia di link non solo è dannosa ai fini SEO, in quanto identificabile in maniera evidente, ma vìola anche le linee guida di Google sui link.

Se gli effetti positivi di queste strategie sortiscono sui marketer lo stesso effetto di un bracciale luccicante per una gazza ladra, dall’altro le penalizzazioni in caso di scoperta da parte di Google dovrebbero farli scappare a gambe levate. Nei casi più lievi si rischia di essere spediti indietro di molte posizioni; in quelli più gravi si rischia di essere tolti dall’indice di Google e, di conseguenza, di finire nel baratro dell’oblio.

Come fare SEO: il metodo white hat targato Meta Line

Per avere risultati nel lungo periodo la black hat non funziona, serve lavorare correttamente e dare basi solide al proprio sito in modo che possano fruttare nel corso del tempo per avere benefici duraturi.

Il progetto di ottimizzazione di un sito con Meta Line dura almeno un anno: il tutto ha origine con un’analisi del sito del committente – nel caso esista già – e dall’analisi di keyword e competitor (quest’ultima viene condotta anche sui social media).

Una volta ottenuti questi dati, si può passare all’azione: ci sono due alternative, ovvero nei casi più gravi bisogna rifare il sito da zero ma molto spesso è sufficiente sistemare quello attuale (questo dipenderà dalle esigenze del cliente). Tutto viene riadattato alla nuova strategia SEO: dal codice del sito, ai contenuti, passando persino dalle immagini.

Una volta messo online il nuovo sito ottimizzato, si attende. I risultati non arrivano da un giorno all’altro: Google si deve accorgere del cambiamento e premiare progressivamente il portale rinnovato. Le tempistiche? Dai due mesi di tempo in su.

Altra tecnica utilizzata dal team Meta Line per migliorare il posizionamento dei clienti è il link earning. Questo non viene fatto con link a pagamento, bensì si entra in dialogo con altri webmaster per portare avanti collaborazioni e relazioni con i nostri clienti. Sia che si tratti di un guest post o di un articolo, l’obiettivo è quello di creare reti di link con siti esterni con cui si entra in una rapporto di mutua fiducia.

Il vantaggio della link earning è che – a differenza di alcune strategie black hat dove i link vengono persi se non si paga la quota dovuta ogni anno – dura nel tempo. I link ottenuti, infatti, non vengono cancellati: rimangono in modo permanente sul sito esterno.

Link earning e SEO sono servizi separati: in genere, consigliamo di partire dall’ottimizzazione per i motori di ricerca e, solo in un secondo momento, passare alla promozione dei propri contenuti per ottenere backlink da altri siti. In ogni caso, investire sulla white hat è sempre una scelta vincentecon un ROI consistente e costante nel tempo: non rischiare inutilmente con il black hat, scegli il “lato chiaro della Forza”.

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Edoardo Matteo Momentè

Matteo è SEO Specialist, si occupa quindi di analizzare i siti web dei clienti per individuare criticità tecniche che ne possano compromettere il buon posizionamento nelle SERP, analizza i campi semantici e sviluppa content strategy che permettano di massimizzare la visibilità nei motori.