Dall’AIDA al Messy Middle. Come sono cambiati i modelli di marketing.

I modelli di marketing sono descrizioni teoriche del percorso d’acquisto che trasforma un individuo in un cliente. Sono utili perché aiutano a decidere la strategia da seguire e le attività di marketing da realizzare per ottenere dei risultati.  

Leggi anche l’estratto del webinar “Come sbagliare strategia di ADV

Quali sono i più famosi? In cosa differiscono?

Vediamoli insieme.

Breve cronologia dei modelli di marketing

1898 – AIDA, di Elias St. Elmo Lewis

Sviluppato a fine ottocento e diventato popolare negli anni 60, questo modello tratteggia il percorso d’acquisto di un potenziale consumatore in relazione alla pubblicità.
Il percorso è diviso in 4 fasi:

  1. Attenzione (Awareness): la pubblicità deve catturare l’attenzione del consumatore, sottoposto ogni giorno a innumerevoli messaggi commerciali; è quindi necessario ideare pubblicità che siano davvero accattivanti.
  2. Interesse (Interest): catturata l’attenzione, bisogna suscitare nel consumatore la volontà di proseguire nella lettura, nell’ascolto o nella visione del messaggio pubblicitario.
  3. Desiderio (Desire): la pubblicità deve generare il desiderio di acquisto. Per riuscirci si può fare leva su messaggi pubblicitari con cui il consumatore possa identificarsi.
  4. Azione (Action): una pubblicità deve indurre il consumatore a compiere un’azione, di solito ad acquistare. 

Considerato un modello un po’ semplicistico, nel tempo ha subito numerose riformulazioni.

1924 – Il Funnel di William H. Townsend

Partendo dal modello AIDA, Townsend immagina il percorso di acquisto come un imbuto

Al vertice dell’imbuto vi è infatti la fase di “consapevolezza” (awareness) popolata da tanti potenziali clienti che hanno un problema o un desiderio. 

Alcuni di questi ritengono che il brand considerato possa essere la risposta giusta e passano alla seconda fase, quella dell’“interesse” (interest).

Di questi, un numero ancor più limitato passa alla fase del “desiderio” (desire), dove si genera l’acquisto. 

Hubspot ha rielaborato il modello del funnel creando il concetto di Buyer’s Journey, un percorso da cliente potenziale a cliente reale diviso in tre tappe simili a quelle appena viste: awareness, consideration e decision.

1961 – DAGMAR di Russel Colley

DAGMAR è l’acronimo di Defining Advertising Goals for Measured Advertising Results, ovvero: definire obiettivi pubblicitari per risultati misurati.

Al centro di questo modello di marketing vi sono dunque gli obiettivi che si desidera raggiungere. È da qui che bisogna partire per ideare campagne pubblicitarie efficaci. 

Secondo questo modello, la comunicazione non induce all’acquisto ma crea le condizioni psicologiche giuste che avvicinano il consumatore al prodotto o servizio

La pubblicità è infatti solo uno degli stimoli che possono spingere un soggetto a diventare un consumatore, ma è certamente in grado di indirizzare questa trasformazione.

Per facilitarla, si analizzano le 6 M:  

  • Merce: quali sono i punti deboli e di forza del prodotto, le differenze con i prodotti dei competitor.
  • Mercati: chi sono i consumatori attuali e quelli potenziali, chi sono distributori che si collocano tra azienda e consumatori.
  • Motivazioni:  quali sono gli stili di vita dei consumatori, quali le ragioni che li portano ad acquistare, quali i risultati che si aspettano.
  • Messaggio: quali contenuti possono influenzare i comportamenti, quali effetti hanno i messaggi dei concorrenti.
  • Media: qual è il mezzo migliore per trasmetter il messaggio.
  • Misurazione: come e quali obiettivi, intermedi e finali, rilevare per valutare gli effetti di un messaggio e per avere un punto di partenza per gli obiettivi futuri.

1986 – Moment of Truth (MOT) di Jan Carlzon

Nell’omonimo libro, l’ideatore definisce così il MOT:

Ogni volta che un cliente entra in contatto con un qualsiasi aspetto di un’azienda, per quanto remoto, è un’opportunità per farsi un’idea dell’azienda stessa.

Il tesoro di un’azienda sta nei suoi stessi clienti soddisfatti. E per soddisfarli è necessario trattarli non più solo come consumatori, ma come individui. 

Del resto, un’azienda che pone la sua attenzione solo sul prodotto verrà facilmente dimenticata dal mercato nel momento in cui dovesse comparire un competitor che offre il medesimo prodotto a un prezzo inferiore. Un’azienda che pone al centro i clienti genera soddisfazione e fedeltà in questi, aumentandone il lifetime value

1997 – ATR-N di Ehrenberg

Questo modello di marketing è composto da 4 fasi (awareness, trial, reinforicement, nudging) e pone enfasi su ciò che avviene dopo l’acquisto e sul potere dell’abitudine

I consumatori tendono infatti a fare acquisti in modo ripetitivo. Soprattutto nel caso in cui la loro esperienza con un prodotto si rivelasse positiva al di là delle aspettative, non avranno alcuno stimolo a cambiare e continueranno ad acquistare quel marchio o quel prodotto. In sostanza, rimarranno nella fase di reinforcement, rinforzo.

Tuttavia, a un certo punto potrebbero passare alla fase di nudging, spinta, e valutare nuovi prodotti o marchi. È qui che le aziende devono farsi trovare pronte, per esempio proponendo prodotti diversi per non far uscire il consumatore dalla propria sfera di influenza. 

2005 – First e Second Moments of Truth di A.G. Lafley

Il modello di Lafley è l’evoluzione del modello MOT. Come suggerisce il nome, non c’è più un solo MOT ma (almeno) due:

  • il First Moment of Truth (FMOT) avviene quando il potenziale cliente vede il prodotto o il servizio, dal vivo o online, per la prima volta. Qui si può generare o meno interesse verso l’acquisto;
  • il Second Moment of Truth (SMOT) avviene quando il cliente ha acquistato il prodotto e lo utilizza. È il momento in cui le aspettative del cliente saranno soddisfatte o deluse.

A questi due si può aggiungere un terzo momento, l’Ultimate Moment Of Truth (UMOT): si ha quando il consumatore decide o meno di condividere un’opinione o una recensione sul prodotto con amici, familiari, colleghi ma anche con il mondo online.

2009 – Consumer Decision Journey di McKinsey

Per questo il loro processo decisionale non assomiglia più a un imbuto lineare ma a un percorso circolare in 4 fasi:

  • Considerazione iniziale: il consumatore valuta diversi marchi in base alla percezione che ne ha a seguito dell’esposizione agli stessi tramite i diversi punti di contatto.
  • Valutazione attiva: man mano che la valutazione si approfondisce, il consumatore aggiunge o toglie brand alla sua ipotetica lista.
  • Chiusura: il consumatore acquista un prodotto.
  • Post-acquisto: il consumatore usa il prodotto e dall’esperienza decide un possibile acquisto successivo.

Questo è un modello di marketing che mette i consumatori al centro, ma grande importanza hanno anche le tecnologie.
Le piattaforme digitali hanno infatti modificato le aspettative dei consumatori, non più disposti a sottostare a una comunicazione pubblicitaria unilaterale. Questo è un vantaggio per le aziende, che possono sfruttare tali piattaforme per dare ai consumatori ciò che vogliono, coinvolgerli e influenzarne le decisioni di acquisto. 

2011 – Zero Moment of Truth (ZMOT) di Google

Ulteriore evoluzione del modello MOT, lo ZMOT esplande il percorso decisionale di un cliente inglobando definitivamente la dimensione online.
Il percorso inizia infatti quando un individuo cerca informazioni online su un prodotto o servizio

In quel momento l’utente trova una mole incredibile di dati, notizie e contenuti sul prodotto. Alcune condivise direttamente dall’azienda, altre dagli altri utenti.
È sulla base di tutto questo che l’utente decide se continuare nel suo percorso fino all’acquisto o spostare la sua attenzione su altro.

Sebbene le aziende non siano in grado di controllare tutte le informazioni online, prime fra tutte le recensioni, possono influenzare positivamente la loro reputazione attraverso l’interazione con il pubblico e migliorando la qualità del prodotto e la user experience.

2020 – Messy Middle di Google

Ultimo in ordine di formulazione, il modello di marketing del Messy Middel prende atto che le persone non prendono decisioni in modo lineare. Anzi, lo fanno in modo totalmente disordinato.

Tutto dipende, ancora una volta, dalle tecnologie. Il web rappresenta per il potenziale consumatore un’enorme fonte di informazioni con cui confrontare aziende, prodotti, servizi, prezzi e molto altro ancora

C’è un enorme spazio tra il primo evento che fa sorgere al potenziale consumatore interesse verso un prodotto e l’effettivo acquisto. In questo spazio si collocano fasi di esplorazione, durante le quali si aggiungono elementi, e fasi  di valutazione, durante le quali si tolgono.
Queste due fasi vengono continuamente reiterate in un loop in cui i bias cognitivi, meccanismi che il nostro cervello sfrutta per risparmiare energie, influenzano la decisione verso un prodotto o un altro. 

Per farsi notare, le aziende possono utilizzare a loro favore questi bias cognitivi. Ne esistono molti, ma 6 sono quelli che Google ritiene particolarmente utili. Li riportiamo nell’infografica originale pubblicata su Think With Google.

bias cognitivi e decisioni di acquisto Google

I modelli di marketing sono davvero utili?

Sebbene alcuni di questi modelli di marketing siano datati, il loro valore non è certamente svanito e la scelta di quale seguire dipende da ciò che si vuole raggiungere, dalle preferenze, ma soprattutto dai risultati che si ottengono

Certamente il Messy Middle ci insegna che oggi il processo decisionale è diventato caotico. E di questo dobbiamo tenerne conto.

Significa che va ripensata la nostra comunicazione, va resa ominichannel. Poiché non sappiamo più in quale momento o quale messaggio farà scattare nel potenziale cliente il desiderio di acquisto, la nostra arma migliore sta nel mostrarci il più possibile, nell’aumentare i punti di contatto (touchpoint) sia nel tempo che nello spazio, inteso come l’insieme delle diverse piattaforme disponibili.  

Ti stai chiedendo quante volte dovresti mostrare i tuoi annunci pubblicitari a un potenziale cliente? Una vecchia regola dice che un messaggio deve essere ripetuto dalle 5 alle 7 volte prima che generi un’azione. Ecco, oggi possiamo pensare che 10 sia il numero minimo di esposizioni a cui puntare. 

Come sempre, solo la pratica ti fornirà i dati necessari per capire cosa funzioni davvero. 

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Enrico Zottis

CEO e Sales Manager. Formazione di tipo economico e background nel settore bancario, associa la passione per il web a quella per i numeri. Con un approccio analitico e uno sguardo sempre rivolto a nuove sfide, aiuta le aziende che si rivolgono a Meta Line attraverso lo sviluppo di modelli di business sostenibili e l’ideazione di strategie digitali personalizzate.